Così vicino così lontano.

Parafrasando il titolo di un film di Wim Wenders del 1993, perfetto per rappresentare le distanze geografiche e delle relazioni nell’era Covid-19, vi porterò con me a viaggiare oltre le frontiere dello spazio e del tempo con addosso solo l’odore del genius loci (spirito del luogo).

La meta? Un’estate fantastica in cui il sogno sia l’unico biglietto da pagare.

Patrizia.

Seconda cartolina. Lanzarote. Canarie. Primavera 2005. 

Ci sono luoghi che fuggono dalla dimensione del tempo. Posti in cui passato, presente, futuro sembra si possano indifferentemente osservare da un capo o dall’altro di un binocolo.

Uno di questi è Lanzarote.

Scolpita nel nero della sua lava che cade a strapiombo nel mare e punteggiata da bianche architetture d’autore, mi ha letteralmente incatenata all’album dei ricordi e ancora, lo ammetto, mi trattiene.

Vedo le sue terre, rigogliosamente ricche di verde abbacinante, stagliarsi nel blu del cielo, i suoi deserti da vertigine e le viti nane raccolte in conche scavate nel suolo, perché la coltura si protegga dal vento. E quegli antri (sapiente la mano che li ha creati) corrispondere quasi al cratere del Timanfaya, potente diavolo dell’isola.

Vedo ancora l’anima di César Manrique, dalla mano eclettica e creativa, vivere in architetture e paesaggi, muoversi tra le sue opere d’arte, così in simbiosi con la terra, da sembrarne una naturale espressione. Assoluto il suo organicismo che ha prodotto  le linee guida per le successive opere di urbanizzazione dell’intero territorio.

Mi ha trasmesso che l’amore per il proprio ambiente genera vita, cultura, conoscenza, rispetto, valore e bellezza.

Questo tipo di souvenir di viaggio non si lascia facilmente in angolo, ho imparato. E ancora ringrazio di averlo potuto metaforicamente comprare.

Prossima meta?

Ancora da ritrovare.

Nell’immagine: Lanzarote, César Manrique, Fundación César Manrique.